lunedì 6 gennaio 2014

LA VENERE IN PELLICCIA DI ROMAN POLANSKI

In certi cinema esiste ancora l'intervallo, ed è sapientemente in grado di coglierti di sorpresa proprio sul più bello. Capita con quei film che partono con lentezza esasperante, come  questa Venere in Pelliccia di Roman Polanski, presentata allo scorso Festival di Cannes. 
Pensi di sapere già tutto, ma una vocina interiore obietta: eppure, se Polanski ha fatto 'sto film, avrà avuto la sua da dire no? Perché, parliamoci chiaro: la trama è così basic che deve fungere solo da pretesto, dietro ci deve essere un di più. Questo vale soprattutto per chi ha letto il libro di Sacher-Masoch, che ha ispirato a David Ives l'omonima piéce teatrale Venere in Pelliccia, da cui Polanski ha tratto il film.

Torna qua l'impostazione teatrale che abbiamo conosciuto in Carnage: tutto succede in un unico ambiente, eccezion fatta per una notevole ripresa iniziale che da una brumosa Parigi ci catapulta dentro il teatro dove si stanno facendo le audizioni per la piéce Venere in Pelliccia, adattamento che il regista protagonista Thomas, perfetto alter ego filmico di Polanski, ha fatto del classico della letteratura erotica di Leopold von Sacher-Masoch (1870). Se in Carnage protagonista era un quartetto di personaggi, qua sono addirittura solo due: Emmanuelle Seigner (moglie di Polanski) nei panni di Vanda e Mathieu Amalric, una delle facce più interessanti del cinema francese, nei panni di Thomas.

Se il regista voleva rendere Vanda insopportabile ci riesce, anche se sospetto che ci sia il concorso di colpa di un doppiaggio italiano poco efficace. Quel fare un po' triviale un po' civettuolo risulta irritante. Eppure, alla fine è proprio l'interpretazione di Emmanuelle Seigner ad essere la vera perla del film. Nello stare quasi miracolosamente in equilibrio su quel crinale difficile tra realtà e finzione, tra disperazione e dominio, tra civetteria e volgarità, tra svampitaggine e cultura, regge perfettamente una parte difficile, rendendo giustizia a quell'inspiegabile incanto che emerge dal libro, dove tutto sta nella tensione tra Vanda, la Venere in Pelliccia, e Severin, il suo schiavo.

La trama del film è questa: Thomas è un regista che sta facendo le auduzioni per la parte di Vanda, la protagonista della sua piéce tratta dal libro di Leopold von Sacher-Masoch. La giornata è al termine e le attrici provinate sono state tutte deludenti. Alla fine, quando lui sta per andarsene con la prospettiva di consolarsi passando una tranquilla serata con la compagna, ecco che arriva in teatro Vanda. L'omonimia della donna col personaggio che dovrebbe interpretare pare essere l'unica concreta affinità, perchè per il resto Vanda è volgare, sguaiata, scomposta: niente a che vedere con la figura algida e nobile che Thomas sta cercando. Eppure lei fa di tutto per fare l'audizione e piano piano entra sorprendentemente nel ruolo.

Fin qui nessuna sorpresa, di una prevedibilità al limite della noia.
Ed ecco che si accendono le luci, quando percepisci che forse quel di più che ti aspetti sta per arrivare. 
E poi le luci si spengono di nuovo.

La parte interessante arriva infatti nel secondo tempo, quando tra Vanda e Thomas-Severin la sintonia scenica si fa dannatamente perfetta e davvero non si capisce più quale sia il confine tra realtà e finzione. Il tutto senza scadere in facilonerie sessual-perverse.
Ma soprattutto, come su una giostra si ribaltano (concretamente) i ruoli al punto che alla fine è difficile dire chi abbia il potere, se il servo o la padrona, che è un po' la cosa realmente affascinante in tutta la questione del sadomasochismo, da Sacher-Masoch in avanti. Ecco, non si può dire che in questo caso Polanski abbia creato uno dei suoi capolavori, però gli darei questo merito: la capacità di far emergere in maniera chiara quanto nell'apparente assurdità della relazione sadomasochistica ci sia una simmetria sconcertante e assoluta.

Severin: Vanda, tu mi ami?
Vanda: Non lo so, Severin.
Severin: Dimostramelo, fai quello che fanno tutti gli innamorati, fammi soffrire!

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