domenica 17 novembre 2013

"NESSUNO E' SERIO A 17 ANNI": JEUNE ET JOLIE E LE BABY PROSTITUTE DEI PARIOLI



Un film come Jeune et Jolie di Francois Ozon esce nelle sale italiane nello stesso periodo in cui su tutti i media nazionali esce la notizia delle baby squillo dei Parioli.
A Parigi la diciassettenne Isabelle, liceale di ottima famiglia, sceglie volontariamente di prostituirsi.
A Roma, due liceali quindicenni fanno lo stesso, anche se un po' meno liberamente: leggi, spinte familiari e chimiche (cocaina). 
A Milano, le cosiddette ragazze doccia fanno sesso nei bagni del liceo in cambio non di soldi ma di beni materiali, quotidianamente, come farsi una doccia appunto.

Il film, presentato in concorso al 66° Festival di Cannes, è vietato ai minori di anni 14, ma la censura risulta quasi anacronistica a fronte della nuova leva di adolescenti che emerge tanto sullo schermo quanto nei fatti di cronaca, in cui di innocenza da salvaguardare pare essercene ben poca.
Isabelle è interpretata dall'esordiente Marine Vacth, classe 1991, con una presenza scenica che lascia senza fiato.
Il titolo (in italiano Giovane e Bella) mi aveva fatto temere la solita storia pruriginosa o Lolita-style: non è così. La capacità di approfondimento psicologico di Francois Ozon allontana qualsiasi rischio.

Temevo tuttavia anche un’altra cosa: il disturbo. Quello sì, c’è. Si esce dal cinema inquieti. Pensi a Isabelle e pensi alle ragazzine dei Parioli o dei licei milanesi. Pensi che a sentire certe cose al telegiornale sembra follia. Eppure.
Ti rendi conto che quello che disturba nel film è in primis questo: che non c’è condanna e non c’è giudizio morale.  E non c’è nemmeno dramma, a dire il vero.
Bello no? E’ cosa buona e giusta non giudicare. Però stranisce, anche chi crede di avere larghe vedute.

Isabelle è bella, ovvio. In Francia Marine Vacth è già stata eletta la nuova Laetitia Casta: solo più acerba e meno 'morbida', e con un'espressione più tormentata. La sua è una di quelle bellezze senza ma e senza se. Se ne va in giro vestita in un cappotto informe, eppure risplende di luce propria. E’ bella e rude, senza trucchi e senza artifici, e ha un viso che è dolce e perverso al tempo stesso, innocente e diabolico. Ha diciassette anni. Che bella età, le dicono a un certo punto del film.

La sua famiglia è ricca, i genitori sono separati ma senza traumi apparenti, la madre le dà l’affetto che può, non le manca nulla. Anzi sì: le manca l’equilibrio. Le manca il senso, lo starci dentro. Le manca una sua identità strutturata. Così, per gioco, Ulisse si fa catturare dal canto della sirena: un giorno, fuori da scuola, un uomo le dice il suo numero di telefono. La sirena le dice ‘Chiamami’. Lei lo fa. E tutto comincia. Diventa una baby squillo. Con i tacchi e il tailleur è un’altra persona, incontra gli uomini negli hotel. Quando è con loro non sente niente, eppure ogni volta torna a casa con la voglia di rifarlo ancora e ancora.
Nessuno si accorge, nessuno sospetta. Lei troppo scaltra o gli altri troppo miopi?

La distanza con i suoi coetanei è abissale: come può interessarle la banalità insicura della vita da liceale quando le basta una telefonata per avere accesso a un mondo molto più eccitante? Perché cosa cerca Isabella se non questo?: l’adrenalina. Non a caso racconta che ciò che le piace di più è prendere gli appuntamenti, parlare con i clienti al telefono, chattare con loro, poi andare in hotel e non sapere chi si troverà di fronte. Cos’è questo se non lo stesso principio di ogni dipendenza? Dal gioco d’azzardo alla droga, all’alcool, al cibo, all'autolesionismo? Stordirsi con l’adrenalina, e non poterne più fare a meno. Farsi male pur di sentire qualcosa, pur di uscire dal nulla cosmico. Tutto il resto è pallido ed esangue al confronto.

Quello che sconvolge e disturba è il crollo di tutte le teorie razionali. Le studentesse che si prostituiscono per soldi? Le prostitute sfruttate? Le escort imprenditrici di se stesse? Ce ne sono, senza dubbio, ma Isabelle non è come loro. La domanda che emerge nella sua storia è: perché no? Cosa c’è di male? È un gioco. E’ il non riuscire a trovare un perché no valido che disturba. 

E allora si capisce come spesso le giustificazioni che ci vengono fatte passare per buone su tanti fenomeni siano balle, o comunque verità parziali. Colpevole non è sempre e solo la società in cui viviamo. Prendiamo i disturbi del comportamento alimentare: ormai accusare la moda di propinarci modelle troppo magre è diventata una prassi. Se un margine di colpa in questo indubbiamente c’è, nessuno dice mai che chi diventa anoressica non lo diventa certo per essere come la modella di Vogue. La verità è che nella sofferenza dell'anoressia c'è al tempo stesso il godimento nel vedere la bilancia che giorno dopo giorno si alleggerisce. Perché le anoressiche non si ammalano quasi mai, fino ad arrivare al limite estremo delle condizioni di sopravvivenza? Perché sono cariche di adrenalina, e l’adrenalina arriva dal godimento del peso che scende e dell'avere il controllo sul proprio corpo. 

Isabelle non si prostituisce per soldi, e non lo fa  per un banale bisogno di attenzione: lo fa perché ha un disperato bisogno di quell’adrenalina, ha bisogno di qualcosa che la faccia sentire viva, che sopperisca alla sua mancanza di senso. Anche se a tratti deve rasentare l’abisso.

E poi però, quasi magicamente, tutto cambia. Ma le cose non cambiano certo grazie a proibizioni, sensi di colpa o buon senso posticcio: le cose possono cambiare solo quando cambia un meccanismo interiore. Isabelle sarà sempre tentata dal chiedersi perché no? fin tanto che non troverà una fonte di senso diversa, uno scopo altro o piu grande. Solo quando la sua vita si assesterà su un altro equilibrio il suo gioco perderà appeal, si ridimensionerà nella sua capacità attrattiva. Né più nè meno. E allora perchè no, in fondo? E' un gioco che annoierà prima o poi, che male c'è a provare? L'unico rischio è quello di non fare in tempo ad arrivarci, a quel punto. E allora, per fortuna, in certi casi l'istinto di sopravvivenza risuona più forte di qualsiasi sirena.



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