E così anche la 67° edizione della Mostra del Cinema di Venezia ha chiuso i battenti, consegnando la vittoria nelle mani di Sofia Coppola con il suo "Somewhere". Durante il festival ho assistito al red carpet della prima del film, che però sono riuscita a vedere in sala soltanto ieri.
Penso di non essere la sola a ritenere che non sia il capolavoro che ci si aspetterebbe vincitore di un festival; tuttavia può essere una scelta comprensibile a fronte di una kermesse con un livello qualitativo leggermente sottotono, aldilà di ogni ipotesi sull'imparzialità o meno del presidente di giuria Quentin Tarantino, ex fidanzato della Coppola.
Uno degli aspetti di maggior pregio nel film è senza dubbio la fotografia.
Le prime immagini mostrano il virtuosismo di una Ferrari nera che sfreccia ripetutamente lungo una strada nel deserto della California, in mezzo al niente. Unico suono: il rombo del motore. I colori sono desaturati, quasi a voler dare un senso di distacco. Fin dalla prima immagine percepiamo infatti una distanza, restiamo fuori dal film: l'obiettivo non è quello di coinvolgere, bensì quello di provocare nello spettatore un senso di straniamento.
Il protagonista Johnny Marco è interpretato da uno Stephen Dorff con la faccia stropicciata e la giusta dose di tatuaggi per incarnare la star hollywoodiana tipo, per la quale Sofia Coppola ha detto di essersi ispirata a vizi (tanti) e virtù (poche) di vari attori dello star system. Johnny vive in una suite allo Chateu Marmont, è separato dalla moglie, trascina le sue giornate tra apparizioni promozionali dove a malapena riesce a pronunciare due parole, festini e sesso dovunque e in ogni momento della giornata.
Non c'è una vera e propria storia, non c'è evoluzione di eventi nel film, senonchè a un certo momento l'ex moglie del protagonista, dovendo misteriosamente assentarsi, gli affida la figlia Cleo per qualche settimana, e Johnny si ritrova padre a tempo pieno. Durante questo periodo Johnny va anche in Italia, a Milano, per ritirare un Telegatto, e in questa circostanza c'è un'incursione nel trash della TV italiana, con Simona Ventura e Nino Frassica nel ruolo (macchiettistico) di se stessi, Valeria Marini procace ballerina e Laura Chiatti "fiamma" italiana di Johnny.
La vita (presumibilmente) esaltante della star hollywoodiana è ridotta a quella di un bel bambolotto, un prodotto dell'industria cinematografica, che nonostante viva nel lusso, sia viziato da tutti e abbia mille donne non può che farci un po' pena, perchè è di una vuotezza allucinante. Le battute pronunciate da Johnny nel corso del film si contano sulle dita di due mani, la sua esistenza è pianificata dagli assitenti, non riesce a dire due parole nemmeno in conferenza stampa.
Il film procede al limite tollerabile di lentezza, essenziale, quasi didascalico, minimale persino nella musica, presente solo quando viene fatta partire direttamente dallo stereo dei protagonisti.
In questo stile rarefatto emergono alcune immagini, oltre a quella iniziale e a quella finale, che rimangono impresse: come quella di padre e figlia su un lettino a bordo piscina, occhiali da sole scuri, acqua tonica di fianco, stessi lineamenti e stesso modo di stare sdraiati a prendere il sole. Sono in mezzo ad altri, eppure è come se fossero soli in un'entità unica e duplice.
Penso di non essere la sola a ritenere che non sia il capolavoro che ci si aspetterebbe vincitore di un festival; tuttavia può essere una scelta comprensibile a fronte di una kermesse con un livello qualitativo leggermente sottotono, aldilà di ogni ipotesi sull'imparzialità o meno del presidente di giuria Quentin Tarantino, ex fidanzato della Coppola.
Uno degli aspetti di maggior pregio nel film è senza dubbio la fotografia.
Le prime immagini mostrano il virtuosismo di una Ferrari nera che sfreccia ripetutamente lungo una strada nel deserto della California, in mezzo al niente. Unico suono: il rombo del motore. I colori sono desaturati, quasi a voler dare un senso di distacco. Fin dalla prima immagine percepiamo infatti una distanza, restiamo fuori dal film: l'obiettivo non è quello di coinvolgere, bensì quello di provocare nello spettatore un senso di straniamento.
Il protagonista Johnny Marco è interpretato da uno Stephen Dorff con la faccia stropicciata e la giusta dose di tatuaggi per incarnare la star hollywoodiana tipo, per la quale Sofia Coppola ha detto di essersi ispirata a vizi (tanti) e virtù (poche) di vari attori dello star system. Johnny vive in una suite allo Chateu Marmont, è separato dalla moglie, trascina le sue giornate tra apparizioni promozionali dove a malapena riesce a pronunciare due parole, festini e sesso dovunque e in ogni momento della giornata.
Non c'è una vera e propria storia, non c'è evoluzione di eventi nel film, senonchè a un certo momento l'ex moglie del protagonista, dovendo misteriosamente assentarsi, gli affida la figlia Cleo per qualche settimana, e Johnny si ritrova padre a tempo pieno. Durante questo periodo Johnny va anche in Italia, a Milano, per ritirare un Telegatto, e in questa circostanza c'è un'incursione nel trash della TV italiana, con Simona Ventura e Nino Frassica nel ruolo (macchiettistico) di se stessi, Valeria Marini procace ballerina e Laura Chiatti "fiamma" italiana di Johnny.
La vita (presumibilmente) esaltante della star hollywoodiana è ridotta a quella di un bel bambolotto, un prodotto dell'industria cinematografica, che nonostante viva nel lusso, sia viziato da tutti e abbia mille donne non può che farci un po' pena, perchè è di una vuotezza allucinante. Le battute pronunciate da Johnny nel corso del film si contano sulle dita di due mani, la sua esistenza è pianificata dagli assitenti, non riesce a dire due parole nemmeno in conferenza stampa.
Il film procede al limite tollerabile di lentezza, essenziale, quasi didascalico, minimale persino nella musica, presente solo quando viene fatta partire direttamente dallo stereo dei protagonisti.
Se Sofia Coppola voleva mostrarci la figura di un "divo" antitetica a quella dell'immaginario comune, facendoci percepire il senso di vuoto, la tristezza di fondo, il nichilismo che può esserci dietro la superficie scintillante dei marmi dello Chateau Marmont... beh in tal caso raggiunge lo scopo. Anche l'assenza di musica è funzionale a farci percepire il rimbombo di questo vuoto, un silenzio che dà quasi fastidio. E' come se Johnny vivesse dentro una bolla di sapone ovattata mentre il mondo si muove intorno a lui e lo fa rimbalzare a destra e a manca. In questa bolla comincia a filtrare uno spiraglio di aria soltanto nel ritrovato rapporto con la figlia Cleo, interpretata dalla dodicenne Elle Fanning, capace di un'espressività fortissima. Il cuore del film è proprio la complicità che nasce tra questo padre sempre assente e la figlia, descritto nei piccoli gesti della vita quotidiana con poesia e lievità notevoli.
In questo stile rarefatto emergono alcune immagini, oltre a quella iniziale e a quella finale, che rimangono impresse: come quella di padre e figlia su un lettino a bordo piscina, occhiali da sole scuri, acqua tonica di fianco, stessi lineamenti e stesso modo di stare sdraiati a prendere il sole. Sono in mezzo ad altri, eppure è come se fossero soli in un'entità unica e duplice.
Ecco, personalmente trovo la chiave di lettura del film in questa immagine e in tutti gli altri piccoli dettagli di una relazione padre-figlia carica di inconsapevole poesia.
sono di parte perché idolatro Sofia e per me ogni suo film è da premio Oscar o simile. naturalmente non sono d'accordo sul rumor che Sofia sia stata premiata in quanto ex (penso anche se a parti invertite, lei nella giuria e lui premiato, ci fossero stati gli stessi pettegolezzi, credo di no...)ma in quanto Tarantino ha dichiarato che Sofia è una delle sue registe (con altri registi) preferite, poi se è ex non dovrebbe stargli molto simpatica, no??!!...poi vero che il linguaggio è molto scarno, come negli altri parla più con le immagini (i suoi modelli principalmente sono Wong Kar-wai e Antonioni), ma qui ancora più smaccatamente :))
RispondiEliminaClaudia
Ciao Claudia! In effetti sul giudizio di Tarantino sono d'accordo con te... aldilà dei pettegolezzi non penso che abbia realmente fatto favoritismi. Il film non mi ha esaltato, però ha degli aspetti interessanti e anche se non sono "sofiacoppoliana" come te riconosco che lei come regista sia riuscita a crearsi un suo stile. La vera rivelazione di "Somewhere" secondo me però è Elle Fanning, che è davvero bravissima! :-)
RispondiEliminaCiao Silvia!! come vedi ce l'ho fatta :))
RispondiEliminasì, è vero è molto talentuosa la piccola Elle, davvero un'ottima interpretazione, gli sguardi che lancia al padre-Dorff quando si risveglia a colazione con la Chiatti e alla Chiatti stessa sono esilaranti!!
Sì... c'è questa cosa dell'anonimo che è un po' antipatica ma i commenti funzionano!:) Hai ragione, l'interazione fra lei e Dorff è fantastica, penso che sia una delle cose più riuscite del film, spontanea e poetica..
RispondiEliminasì,funzionano!! :) veramente ha fatto delle scelte perfette!! :))
RispondiEliminaClaudia