venerdì 23 settembre 2011

RUGGINE

E' un film strano 'Ruggine', a partire dal titolo.
Tratto dal romanzo omonimo di Stefano Massaron (Einaudi) e diretto da Daniele Gaglianone, è uno dei quattro  film che Filippo Timi ha portato quest'anno al Lido di Venezia. L'attore, uno tra i protagonisti italiani di quest'edizione del Festival, interpreta in 'Ruggine' il ruolo scomodo dell' 'orco', e lo fa con la consueta maestria e la naturale capacità di far vivere i lati più oscuri dei propri personaggi.

Timi è il dottor Boldrini, pediatra pedofilo che si trova a lavorare in un quartiere alla periferia di Torino, popolato di immigrati del meridione e del veneto, dove è venerato da tutti - il dottore di città - mentre solo i piccoli si rendono conto della sua vera natura. Due bambine vengono violentate e uccise e una terza, la piccola Rosalia, è nel mirino dell'orco: i ragazzini capiscono quello che sta succedendo, ma 'i grandi' non ci crederebbero mai.

La ruggine del titolo è quella dei silos abbandonati che i bambini hanno decretato essere il loro castello, teatro di giochi, ma è anche la ruggine che ha corroso le loro vite, e che è destinata a non abbandonarli mai.

Il film è costruito su un gioco di rimandi tra presente e passato: vediamo i tre protagonisti della vicenda, Cinzia - Valeria Solarino, Sandro - Stefano Accorsi, e Carmine - Valerio Mastandrea nella loro vita adulta, condizionata dai fantasmi del passato.

Il primo tempo serve a farci assorbire l'atmosfera cupa e angosciante della storia, con i continui flashback, i ricordi dei protagonisti e le storie intrecciate, immagini sporcate dal colore della ruggine e una musica generatrice di ansia (la colonna sonora è de Le luci della centrale elettrica).

'Ma quando devi crescere?' è il ritornello che unisce il Sandro adulto, padre a sua volta, al Sandro bambino, mentre qualcuno si chiede perché la sorella di Carmine, Rosalia, continui ad aiutare e proteggere questo fratello quarantenne fallito. Poi c'è Cinzia, che è 'strana' e fa l'insegnante e in consiglio di classe si trova a non poter tacere su una ragazzina forse abusata dal patrigno.

Lo spettatore vorrebbe più azione, ma il regista sapientemente dosa e prepara il terreno per un secondo tempo di grande impatto, dove i nodi si sciolgono e le trame personali dei protagonisti trovano la loro connessione, con la scena potente e catartica dei bambini che assaltano il dottor Boldrini e l'angoscia tangibile e straziante che emerge dal personaggio di Carmine.

Molto bella anche la scena finale - surreale e commovente - nei vagoni del metrò: monito a non scappare mai di fronte al primo titolo di coda.


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