
C'è tanto stile in questo film: certo il soggetto del libro - vincitore del Premio Campiello Giovani nel 2010 e secondo allo Strega dello stesso anno - era una base di partenza forte, ma in casi simili di trasposizioni cinematografiche di grandi successi editoriali il risultato non era stato centrato in pieno e con così tanta forza: mi viene da pensare a Un giorno di David Nicholls o alla Versione di Barney di Mordechai Richler.
Il film Acciaio riesce invece a fare quasi meglio del libro - straordinaria opera prima di Silvia Avallone, classe 1984: lo sublima, ne opera una sintesi perfetta, senza macchia. C'è tutto ma non c'è troppo, e alcune piccole sbavature del romanzo sono accuratamente limate. Certi caratteri pericolosamente vicini allo stereotipo nella trasposizione cinematografica diventano personaggi complessi, profondi. Nel film, alla cui sceneggiatura ha partecipato anche la stessa Avallone, ci sono un'alchimia e un contrappunto perfetti tra i personaggi, la fabbrica - l'acciaieria Lucchini di Piombino, che è la vera protagonista della storia, sempre presente con tutta la sua imponenza - e i paesaggi. C'è molto equilibrio, e anche molta sobrietà, non si indugia nel facilmente malizioso, la fotografia dei rapporti umani è scevra da giudizio. Anche chi non ha letto il libro è uscito dalla proiezione estasiato dalla potenza evocativa di questo film.
Matilde Giannini e Anna Bellezza, sconosciute e toscanissime - scelte a colpo sicuro dal regista in mezzo a 900 ragazzine facendo casting nelle scuole - interpretano Anna e Francesca, la coppia di amiche protagoniste della storia. Anna e Francesca che sono due facce della stessa medaglia, due immagini riflesse l'una nell'altra.

Francesca è il suo alter ego, ma più magra e spigolosa. Ha la faccia da stronza Francesca, una bellissima faccia da schiaffi, irresistibile. Sembra la parte forte della coppia, invece è probabilmente la più fragile, la mina vagante. Ama Anna di un amore che vuol essere esclusivo, e che l'amica non ha ancora compreso fino in fondo. Fa la dura, ma il suo animo è sensibile. Fa la donna, ma è ancora una bambina.



Il lavoro sicuro che non dà prospettive di evoluzione, una vita cristallizzata dove l'unico desiderio è un biglietto da 7.50 euro per traghettarsi all'Elba e capire cosa fanno là le famiglie che partono per le vacanze, o pattinare alla festa di Ferragosto.
E poi c'è chi ha studiato, chi se n'è andata via ma poi è tornata, c'è Elena (Vittoria Puccini, anche lei perfetta nel ruolo), che dopo uno stage fuori, via dalla provincia, si è trovata a tornare a lavorare di nuovo in Lucchini, l'unica azienda che abbia risposto alla sua ricerca di lavoro, la grande madre che ri-accoglie i suoi figli. Elena divisa tra la passione per Alessio e la coscienza di un'incompatibilità di fondo. Così come sono intimamente contrastanti Anna e Francesca, nel loro amore che vuole ma non può essere esclusivo.
Le immagini di paesaggi dalla bellezza rude e selvaggia, la fabbrica che ha una sua autonomia figurativa, è un essere a se stante, con la bocca sempre incandescente. Non si ferma mai (interessante anche l'inserto con le immagini storiche). E' un film epico Acciaio, fotografa una realtà sociale partendo dalle storie di chi la abita quella realtà. E fotografa anche, più in grande, la realtà del nostro sistema Italia, bloccato nei clientelismi e nell'immoblità. Ci sono tre livelli di lettura. Le storie di Anna, Francesca, Alessio ed Elena sono storie di eroi tragici perchè lacerati dai propri conflitti interiori. A volte ci pensa il destino a risolvere i dubbi. Eppure, per chi resta, la speranza è possibile. Anche se, come si chiede alla fine Anna, "perchè il futuro è sempre da un'altra parte rispetto a dove ci troviamo?".
bellissimo film
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