Con Acciaio - il film di Stefano Mordini tratto dal bestseller di Silvia Avallone - presentato fuori concorso a Venezia 69 nelle Giornate degli Autori, il cinema abbraccia quella che è la sua funzione primaria: emozionare, evocare, far immaginare mondi altri.
C'è tanto stile in questo film: certo il soggetto del libro - vincitore del Premio Campiello Giovani nel 2010 e secondo allo Strega dello stesso anno - era una base di partenza forte, ma in casi simili di trasposizioni cinematografiche di grandi successi editoriali il risultato non era stato centrato in pieno e con così tanta forza: mi viene da pensare a Un giorno di David Nicholls o alla Versione di Barney di Mordechai Richler.
Il film Acciaio riesce invece a fare quasi meglio del libro - straordinaria opera prima di Silvia Avallone, classe 1984: lo sublima, ne opera una sintesi perfetta, senza macchia. C'è tutto ma non c'è troppo, e alcune piccole sbavature del romanzo sono accuratamente limate. Certi caratteri pericolosamente vicini allo stereotipo nella trasposizione cinematografica diventano personaggi complessi, profondi. Nel film, alla cui sceneggiatura ha partecipato anche la stessa Avallone, ci sono un'alchimia e un contrappunto perfetti tra i personaggi, la fabbrica - l'acciaieria Lucchini di Piombino, che è la vera protagonista della storia, sempre presente con tutta la sua imponenza - e i paesaggi. C'è molto equilibrio, e anche molta sobrietà, non si indugia nel facilmente malizioso, la fotografia dei rapporti umani è scevra da giudizio. Anche chi non ha letto il libro è uscito dalla proiezione estasiato dalla potenza evocativa di questo film.
Matilde Giannini e Anna Bellezza, sconosciute e toscanissime - scelte a colpo sicuro dal regista in mezzo a 900 ragazzine facendo casting nelle scuole - interpretano Anna e Francesca, la coppia di amiche protagoniste della storia. Anna e Francesca che sono due facce della stessa medaglia, due immagini riflesse l'una nell'altra.
Anna è dolce, di un candore che può esistere solo in quel momento di passaggio - "13 anni quasi 14" - ineffabile e impalpabile, fra la bambina e l'adolescente. E' pura, senza filtri, giocosa eppure già donna. Intelligente, studiosa, obbediente ma forte, solida. E' mordiba, nel fisico e nei tratti, nel sorriso.
Francesca è il suo alter ego, ma più magra e spigolosa. Ha la faccia da stronza Francesca, una bellissima faccia da schiaffi, irresistibile. Sembra la parte forte della coppia, invece è probabilmente la più fragile, la mina vagante. Ama Anna di un amore che vuol essere esclusivo, e che l'amica non ha ancora compreso fino in fondo. Fa la dura, ma il suo animo è sensibile. Fa la donna, ma è ancora una bambina.
L'inizio dell'adolescenza, quando il mondo è tutto da scoprire e da guadagnare, quando le emozioni sono assolute e le piccole cose sono grandi conquiste - il mare, la vita di provincia, di una provincia popolare, senza prospettive. Anna vuole studiare, Francesca prova a crescere andando a lavorare in un night club. La loro è un'amicizia unica, un legame che sfugge ad ogni definizione, come sfuggono alle definizioni le vere storie d'amore. E' amicizia, simbiosi, legame morboso? E' tutto, è desiderio puro e assoluto per l'altra persona, quando ancora il desiderio sessuale non è diventato preponderante, pur nella loro totale affinità di corpi.
Ed è totale anche la confidenza di Anna con il corpo maschile del fratello Alessio, interpretato da un Michele Riondino al suo meglio, che riesce ad esprimere tutto il suo potenziale in questo ruolo. Dormire abbracciata al fratello è per Anna la cosa più naturale del mondo. Lui che preferisce "prenderlo nel culo ogni giorno lavorando in fabbrica per 1200 euro al mese" piuttosto che "passare la vita a metterlo nel culo agli altri", come sta provando a fare il padre. E' un personaggio semplice e complesso al tempo stesso quello di Alessio, come tutti quelli del film, divisi fra sentimenti e desideri contrastanti.
Il lavoro sicuro che non dà prospettive di evoluzione, una vita cristallizzata dove l'unico desiderio è un biglietto da 7.50 euro per traghettarsi all'Elba e capire cosa fanno là le famiglie che partono per le vacanze, o pattinare alla festa di Ferragosto.
E poi c'è chi ha studiato, chi se n'è andata via ma poi è tornata, c'è Elena (Vittoria Puccini, anche lei perfetta nel ruolo), che dopo uno stage fuori, via dalla provincia, si è trovata a tornare a lavorare di nuovo in Lucchini, l'unica azienda che abbia risposto alla sua ricerca di lavoro, la grande madre che ri-accoglie i suoi figli. Elena divisa tra la passione per Alessio e la coscienza di un'incompatibilità di fondo. Così come sono intimamente contrastanti Anna e Francesca, nel loro amore che vuole ma non può essere esclusivo.
Le immagini di paesaggi dalla bellezza rude e selvaggia, la fabbrica che ha una sua autonomia figurativa, è un essere a se stante, con la bocca sempre incandescente. Non si ferma mai (interessante anche l'inserto con le immagini storiche). E' un film epico Acciaio, fotografa una realtà sociale partendo dalle storie di chi la abita quella realtà. E fotografa anche, più in grande, la realtà del nostro sistema Italia, bloccato nei clientelismi e nell'immoblità. Ci sono tre livelli di lettura. Le storie di Anna, Francesca, Alessio ed Elena sono storie di eroi tragici perchè lacerati dai propri conflitti interiori. A volte ci pensa il destino a risolvere i dubbi. Eppure, per chi resta, la speranza è possibile. Anche se, come si chiede alla fine Anna, "perchè il futuro è sempre da un'altra parte rispetto a dove ci troviamo?".
bellissimo film
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