sabato 18 maggio 2013

VIAGGIO SOLA: QUEGLI ANTIPATICI PREGIUDIZI...

Già ne L'uomo che ama avevo apprezzato la sensibilità registica di Maria Sole Tognazzi e la capacità di aprire lo sguardo - il suo e di conseguenza anche quello dello spettatore - su tematiche non banali e punti di vista diversi.

Nel suo ultimo film, Viaggio Sola, protagonista è Margherita Buy che interpreta Irene, una donna che per mestiere viaggia. Da sola.

Irene è ispettrice di qualità degli hotel e il suo lavoro la porta a viaggiare quotidianamente da un capo del mondo all'altro, soggiornando in hotel 5 stelle, con ogni genere di benefit incluso e tutte le spese pagate. Potrebbe sembrare il lavoro dei sogni, forse lo è. Ad un prezzo però: la totale assenza di una vita privata, anzi di una vita. Irene infatti non ha nemmeno una casa sua: quando rientra alla base va a casa della sorella Silvia (Fabrizia Sacchi), sposata e madre di due figlie, oppure sta da Andrea (Stefano Accorsi), ex fidanzato della notte dei tempi e ora suo migliore amico, con il quale vive un rapporto di assoluta complicità senza interferenze sessuali.

Il lavoro di Irene consiste nel verificare lo standard di qualità degli hotel nei minimi dettagli, cronometro e termometro alla mano (Quanti minuti avete aspettato in reception?, Il vino era servito alla giusta temperatura?...e così via). La qualità deve rispettare precisi e misurabili standard, mentre le esistenze dei suoi cari proseguono nel caos che denota - appunto - la vita vera. Mentre la sorella, in crisi coniugale, punta il dito contro la zitellaggine e il presunto egoismo di Irene, per distoglierlo dalla sua insoddisfazione, ciò che realmente manda in crisi la protagonista è il figlio che il suo ex Andrea aspetta da Fabiana, una donna con cui ha avuto una breve avventura: per quanto lui non sia innamorato di Fabiana, Irene è terrorizzata che la nuova priorità della paternità lo allontani da lei, dal loro rapporto.

Il film è a mio parere un gioiellino. Il suo plus è l'understatement. Non ci sono manie di grandezza, i toni sono sommessi ma l'equilibrio sia registico sia narrativo è perfetto, e il risultato è una storia che arriva allo spettatore, si sedimenta nell'animo e continua a far riflettere anche molto dopo esser usciti dal cinema.  

Due sono i momenti clou di Viaggio sola. Uno è quello in cui, dopo una notte di sesso fra Irene e Andrea, capitata per caso in un momento di debolezza e subito scoperta da Fabiana, Irene cerca in tutti i modi di rimettere in quadro la situazione per far sì che Fabiana, incinta, non pensi che ci sia stato un ritorno di fiamma. Fabiana, interpretata da Alessia Barela, ex ragazza di Non è la Rai e con un volto che buca lo schermo, ha lo sguardo tagliente e la faccia incazzosa. Ti aspetti che da un momento all'altro le dia una sberla invece, quando Irene le dice non guardarmi così però, mi fai paura, Fabiana scoppia in un pianto disperato e la abbraccia. E' l'unione di due paure: un abbraccio e un pianto risolutore che rivelano ed esorcizzano un genuino terrore della solitudine, che c'è da entrambe le parti.

L'altro momento topico è quando, in un hotel di Berlino, Irene entra nella spa e incontra una donna. Le due si guardano, sedute sul bordo dell'idromassaggio. Entra un uomo, le guarda. Scappa. A quel punto la donna, Kate (Lesley Manville), comincia a parlare con Irene, le dice che se ci fosse stata una sola di loro due l'uomo sarebbe entrato, ma siccome erano in due per istinto è scappato. Kate è un'antropologa specializzata in studi sulla sessualità. La sua personalità è forte, lo si deduce anche dall'abbigliamento aggressivo. E' anticonformista e vitale. Le due donne vanno a bersi un Martini al bar del lussuoso hotel ed è a quel punto che Kate fa notare a Irene quanto quella non sia la vita vera: tutto ha un sapore di artefatto dentro quegli hotel lussuosi, la vita vera è fuori, è in quel ristorantino turco maleodorante ma in cui puoi sentirti davvero vivo. Se Irene vorrà, ci andranno insieme a pranzo il giorno dopo.

La sera, Kate è ospite in diretta in uno show televisivo tedesco. Irene la guarda affascinata dalla sua stanza di hotel, da sola. L'antropologa esprime con entusiasmo le sue opinioni. Parla dell'importanza di riscoprire l'intimità, l'affettività piuttosto che rimanere arenati sull'aspetto puramente sessuale. Irene si sente colpita nel vivo, capisce che quella donna le sta fornendo l'occasione per ritrovare un po' di 'intimacy', quella intimacy che lei ha tagliato fuori, volente o nolente, dalla sua vita. Le scrive un biglietto di ammirazione e ringraziamento, glielo imbuca nella stanza di hotel da sotto la porta, e la mattina dopo la aspetta nella hall per il pranzo nel ristorante turco che puzza di vita. Ma Kate non arriva. Ci si aspetterebbe - scontatatemente - una brutale negazione di quella intimacy a cui Irene aveva appena concesso una chance. Ma la sceneggiatura è più sottile: Kate è morta. Ha avuto un infarto subito dopo la trasmissione tv, appena rientrata in hotel. Il parente più prossimo, l'unico che legalmente aveva diritto di essere avvisato, era l'ex marito, con cui lei non aveva più alcun rapporto da 15 anni.

L'episodio manda Irene in crisi: lei che si è sempre sentita una donna libera e indipendente, per il mestiere e il tipo di vita che conduce, improvvisamente vede illuminata l'altra faccia della medaglia. Improvvisamente si vede come una donna sola. Se lei morisse, chi avrebbe il diritto di essere avvisato?

Questo film, uscito abbastanza in sordina, ha sicuramente avuto il potere di vivacizzare il dibattito pubblico sulla tematica delle donne single e soprattutto che scelgono di non avere figli. Ho voluto parlarne qua dopo aver letto un articolo su un settimanale femminile che, traendo spunto proprio da Viaggio Sola, metteva a confronto per voce di due penne autorevoli i pro e i contro dell'esser donna single.

Letto il tutto mi sono detta: embè? Praticamente da entrambe le parti si faceva passare, con giri di parole diversi, lo stesso messaggio: stare da sola più che una scelta è un modo di adeguarsi al destino, un'accettazione della realtà che non potrà mai avvicinarsi alla felicità. Insomma, come a dire che la 'zitellaggine' si può vivere dignitosamente, in una società che è comunque ancora fatta per la coppia, soprattutto quando si tratta di donne che scelgono di non avere figli. Questo articolo mi ha irritato, anche perchè è giunto a corollario di molteplici e ricorrenti discorsi imbevuti di pregiudizi maschili sulla donna 40something senza marito e senza figli. 

Ho sempre odiato questi pregiudizi, ma recentemente e in più di un'occasione mi è capitato di trovarmi ad interagrire col suddetto tipo di donna. E, lo ammetto candidamente, mi sono detta: cavolo, io spero proprio di non finire così, tra 10 o 15 anni. Fottuta paura di trovarmi sola e soprattutto 'pregiudicata'. Perchè queste donne che ho incontrato mi hanno spaventato: queste donne che appena le conosci ti spiattellano in faccia il loro curriculum amoroso, a te come a tutti i presenti. Ti chiedono platealmente il tuo status sentimentale e ti danno il benvenuto nel club delle single. Si atteggiano a femmes fatales che la sanno lunga e poi finiscono nel letto del primo tamarro che le fa sentire desiderabili. Non mangiano dolci perchè dopo i 35 non si può più. Rivendicano ex importanti e nel parlartene li identificano in base alla professione (l'architetto, l'avvocato...). Si truccano spesso pesantemente e ricercano il centro dell'attenzione anche con i camerieri della pizzeria. Insomma, mi si sono attivati mille campanelli d'allarme e mi sono proprio detta... no, fa che non capiti a me. Fottuta paura, ripeto.

E la conclusione a cui sono giunta è che il problema stia tutto nel solito, malefico bisogno di adeguarsi a un modello. Forse, se cominci a liberarti di inopportuni 'standard di qualità' a 28 anni, sarà più facile liberarti di altri modelli a 40, mi dico. E lo spero, perchè ho la presunzione di sentirmi - se non del tutto - almeno in buona parte libera da questi vincoli. Ma visto che le certezze ce le hanno solo gli stolti, è lecito stare sempre in guardia anche con se stessi.

Articoli come quello che ho letto sicuramente non aiutano. Io non sono assolutamente convinta che la singletudine sia un semplice arredare il tunnel quando ci si trova a camminarci dentro. Certo, l'amore con la A maiuscola ci insegnano a sognarlo fin da bambine, ma prima ci mettiamo nella testa che non esiste e meglio è. O meglio, esiste, certo che esiste, ma è un caso raro, non è da tutti e soprattutto non è per sempre. Sono fermamente convinta che ognuna - ognuno - debba trovare il proprio senso, il proprio centro di gravità permanente che non necessariamente è dato dall'essere metà di una coppia. Siamo tutte diverse, e non sono per niente persuasa che metter su famiglia sia una tappa obbligatoria dell'autorealizzazione di ogni donna, così come non mi convincono coloro che programmano la loro vita a scadenze, manco fossimo vasetti di yogurt: dai 20 ai 30 mi diverto, dai 30 ai 40 metto su famiglia etc. Mi fanno inorridire!
Forse sbaglio, ma continuo a pensare che il bello stia nel seguire il proprio istinto, che saprà sempre suggerirci qual è il momento e la condizione giusta per far qualcosa, qualsiasi cosa. E se per qualcuno il momento giusto può essere a 20 anni, per altre lo è a 35 o a 40, o a 45, oppure anche mai. Il bello è la diversità, ma soprattutto la libertà di scelta. 

Per questo ho amato il finale del film Viaggio Sola, dove Irene, dopo aver attraversato e superato il suo momento di crisi,  parte per l'ennesima trasferta in solitaria, affermando che il viaggio - quello della vita - è nostro e solo nostro, ed è uno, per questo ognuno deve scegliere di viverlo come è meglio per se stesso. Per alcune donne la stabilità data dalla famiglia è il valore più importante, altre non rinuncerebbero mai al senso di avventura dato dalla possibilità di viaggiare e vivere in libertà. Se avere una famiglia richiede indubbi sacrifici, anche la libertà ha un prezzo alto, che si paga ogni giorno ma che è sicuramente meno evidente: essere punto di riferimento per se stesse, reinventarsi quotidianamente e avere la completa responsablità dei propri errori. Ognuno ha il diritto - anzi direi il dovere - di scegliersi la vita che vuole, e di pagare i suoi pegni per ottenerla e mantenerla. L'importante è essere consapevoli delle proprie scelte e non permettere mai di farsi discriminare o pregiudicare perchè scegliamo di affermare la nostra individualità.

Ps. Per chi fosse particolarmente interessata all'argomento, consiglio anche il libro Io viaggio da sola di Maria Perosino (Einaudi): un vero e  proprio manuale di sopravvivenza (e ironia) per viaggi al femminile.

2 commenti:

  1. credo tu sia la dimostrazione che una testa pensante funziona da sé
    :-)

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  2. Prendo per buona l'attribuzione alla sottoscritta di testa pensante... Si ha sempre bisogno di rassicurazioni ;-)

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