mercoledì 17 novembre 2010

...IL MOMENTO IN CUI IERI SERA E' FINITO

Sto leggendo "Momenti di trascurabile felicità", l'ultimo libro di Francesco Piccolo. E' semplicemente geniale. I primi due brani mi hanno colpito tantissimo, li ho letti più volte e fatti leggere ad altri. Li riporto qua sotto perchè troppo belli per non essere condivisi.
Mi è venuto spontaneo associarli a "Le passanti", canzone di Brassens cantata da De Andrè, bellissima e malinconica, che potrebbe esserne la colonna sonora perfetta.
Giudicate voi...

"Nelle pagine romane del quotidiano, il mercoledì o a volte anche prima, vedo l'annuncio di un film che aspettavo. C'è scritto: "da venerdì". Chiudo il giornale sapendo che da venerdì comincerà un segmento di tempo dentro cui una sera, presto, andrò a vederlo. Non so ancora dove, quando. Ma ci andrò.
Poi arriva il venerdì, e passa. Il primo fine settimana non se ne parla. Altrimenti anche il sapore dell'attesa durerebbe poco; e poi il primo fine settimana ci vanno tutti.
Aspetto.
Dalla settimana successiva, ogni giorno studio le sale e gli orari, il cinema più vicino o quello che mi piace di più, valuto la sala ma anche la strada, e se devo dirla tutta anche il marciapiede dove all'uscita chiederò a qualcuno una sigaretta e la fumerò con un piacere lento, ripensando ad alcuni dialoghi del film. Finirò per scegliere anche il marciapiede dove lascerò il mozzicone della mia sigaretta dopo il film. Penso di andarci da solo al primo spettacolo, oppure con qualcuno alle otto e mezza di sera, anzi - meglio - penso di uscire di casa dopo cena e chiedere a un amico di arrivare un po' prima e passeggiare intorno all'isolato e poi entrare all'ultimo spettacolo.
E aspetto. Aspetto. Dico: ci vado la prossima settimana. 
Settimana dopo settimana vedo le sale che cambiano, che si riducono; e so che il prossimo giovedì tremerò perchè da domani forse non c'è più, il film. E poi c'è, per fortuna, ma spostato in una sala piccola o periferica, come in un'agonia lenta, che non termina perchè sta aspettando me. E' più difficile, adesso, più lontano, più complesso; più arduo trovare qualcuno che non l'abbia ancora visto.
Solo a questo punto comincia a sedurmi un'idea nuova, maliziosa, e nell'attimo in cui la penso, decido, con coscienza, di metterla senz'altro in pratica - una cosa insensata ma alla quale non so resistere. 
Non ci andrò.
Scalpiterò l'ultimo giorno, un giovedì, sapendo che da domani scomparirà, telefonerò a tutti quelli che conosco dicendo che forse bisognerebbe proprio andarci perchè è l'ultimo giorno; ma avendo una buona scusa per dire che non ce la faccio in tempo, se qualcuno dovesse poi essere realmente disponibile. 
E poi lo lascio andare via, quel film che volevo assolutamente vedere; non potevo perdermelo e me lo perdo, e da domani dirò che me lo sono perso, che mi dispiace. Il venerdì apro il giornale, scorro tutte le sale, e davvero non c'è più, è scomparso.
E io mi sento, in qualche modo incomprensibile, sollevato."

***

"La domenica mattina, piuttosto presto, quando la città è vuota e silenziosa e bellissima, me ne esco e vado in giro. E succede sempre che ne incontro due, o tre, una volta addirittura cinque. Qualche volta una sola. Mai: nessuna.
Sono certe donne dal viso pallido e il trucco sfregiato, infilate dentro vestiti eleganti e tacchi alti, con i visi mattinieri della notte quasi insonne e gli abiti stonati del sabato sera. Addirittura, qualcosa che luccica sul volto, sul vestito o sul cappotto. Qualche volta devo girare per molti quartieri, ma alla fine lo sento quel rumore di tacchi, oppure quel portone che si apre, e una di loro compare strizzando gli occhi contro il fastidio del mattino.
Ha passato la notte a casa di qualcuno e adesso cerca un bar, che non sa dove sia, per prendere un cappuccino prima di tornare a casa.
E' fuori luogo; appartiene al giorno prima e non c'entra nulla con la domenica mattina; eppure è bellissima, è pallida e confusa, stordita dalla stanchezza. Esausta. Ma di una felicità sottile che si nasconde sotto l'aria confusa come sotto un tappeto. Subito la seguo nel bar, prendo anch'io un cappuccino, un po' distante ma potendola guardare, senza parlare, senza alcuna intenzione di rivolgerle la parola, solo seguendo ogni movimento, quel modo di girare il cucchiaino lentamente, fissando di continuo un punto vuoto, sbadigliando, a volte dimenticandosi di pagare. Fino a quando non si dirige verso l'uscita, il rumore dei tacchi nel silenzio. Apre la porta del bar e va. E solo adesso è davvero il momento in cui ieri sera è finito. "

4 commenti:

  1. chissà perchè leggendo ho pensato a Giacomo Leopardi, al suo Sabato del villaggio.....alla speranza che in fondo è il motore della vita, all'illusione che ne è il carburante, all'utopia che è il senso della vita stessa.....cmq splendido messaggio!

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  2. Sì... il paragone ci sta tutto, soprattutto per quanto riguarda il brano sul cinema...

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  3. l'ho letto anche io!è geniale...
    (io sono fra quelli ca cui capita di far passare i film che devono assolutamente vedere,controllano le sale e tirano un sospiro di sollievo quando lo tolgono..hahaha)
    Scherzi apparte, secondo me, il libro riassume benissimo sensazioni che tutti proviamo in varie situazioni che pensiamo trascurabili. A volte siamo solo spettatori nella vita, viviamo delle sensazioni altrui, delle cose che vediamo o percepiamo intorno a noi..e non è vero che guardare un bel film è meno emozionante che viverlo!!
    e direi che la colonna sonora è azzeccatissima, Silvia!:)..
    SoL

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  4. 'Non è vero che guardare un bel film è meno emozionante che viverlo': questa frase mi ha fatto riflettere. Ci affanniamo tanto per star dietro alle cose, per raggiungere risultati, ma a volte, cambiando punto di vista, può essere più bello e gratificante semplicemente starsene fermi ad osservare il panorama. Cosa c'è di più emozionante che sognare? E come dice la Nannini... 'Solo i sogni sono veri'

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