In uno dei post precedenti ho citato una frase del secondo Wall Street: "Follia è ripetere la stessa azione ed aspettarsi un risultato diverso". Ecco, ripensando al film di Ascanio Celestini "La pecora nera" questa definizione di follia mi è apparsa quanto mai calzante: il film è tutto una ripetizione di parole, suoni onomatopeici, codici comportamentali e situazioni, fino al limite dell'esasperazione. Se volete passare un'ora e mezzo di sana angoscia, andatelo a vedere!
A parte tutto, non è che non lo consigli. Il film, in concorso a Venezia, è stato molto apprezzato e anch'io mi sento di dire: se vi ispira guardatelo e traete le vostre conclusioni. Personalmente ne ho apprezzato il coraggio e la sperimentazione: la storia, ambientata nei "favolosi anni '60", come ripete più volte il protagonista Nicola - Ascanio Celestini, parla di pazzia, malattia mentale e manicomi.
Racconta la vita di Nicola bambino, figlio di una madre malata di mente, e poi di Nicola adulto, internato in un maniconomio gestito dalle suore, la cui missione quotidiana è la spesa al supermercato dove può comprare solo quello che sta scritto sulla lista della suora. Per Nicola il supermercato, il manicomio, l'ospedale o un condominio sono la stessa cosa e il direttore del supermercato è il capo di tutto, è il Papa, anzi è Gesù. Nicola interagisce con una sorta di alter ego interpretato da Giorgio Tirabassi, che forse esiste veramente o forse è solo una sua proiezione mentale. Nella struttura fatta di continui flash back e rimandi passato - presente emergono le vicende dell'infanzia di Nicola, dove non si capisce cosa sia causa e cosa effetto della sua malattia mentale, con una famiglia non propriamente rassicurante e una mamma che finisce i suoi giorni in manicomio.
Il film è tratto da una pièce e l'impostazione teatrale rimane fortissima, anche troppo. Si avverte nelle inquadrature lunghe, nell'assenza di musica, nella reiterazione, nei monologhi. In sala diverse persone lo hanno trovato noioso. Io personalmente ho iniziato a spazientirmi un po' soltanto verso la fine, anche se il film è senza dubbio lento. A mio parere riesce a trasmettere molto bene il senso di straniamento del protagonista e ci fa penentrare nella sua dimensione di follia, proprio esasperando i suoi monologhi e le sue cantilene, ripetendole fino al parossismo, e al tempo stesso confonde la sua follia con la realtà in cui è cresciuto, tanto che non si capisce più dove stia la linea di confine.
Ci sono intuizioni non banali e la capacità di sorprendere nel mischiare ironia e drammaticità, al punto che in alcuni momenti non si sa veramante se aspettarsi di ridere, schifarsi, provare pena o piangere. Però rimane a mio parere un film non del tutto riuscito, trasmette angoscia e questo probabilmente è il suo scopo, ma poteva riuscirci forse meglio esasperando meno i concetti e con una soglia minore di reiterazione. Non "arriva" bene, si disperde, soffoca troppo la poesia con l'ansia. Azzeccate ed efficaci le battute finali.
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